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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, vediamo insieme cosa esprime e come si forma il complemento partitivo.
Buona lettura!
Prof. Anna
Alcuni di voi forse lo conoscono già e anche quelli tra voi che non lo conoscono lo avranno sicuramente già incontrato perché è un complemento molto comune e molto utilizzato. Vediamo questi esempi:
- delle mie amiche solo due sono sposate;
- Lucia è la più giovane tra le sue sorelle;
- un bicchiere di vino, per favore.
Il complemento partitivo specifica un tutto (nelle frasi precedenti:
delle mie amiche; tra le sue sorelle; di vino)
di cui si indica una parte (nelle frasi precedenti:
due; Lucia; un bicchiere). È introdotto per lo più dalla preposizione
di e non di rado anche da
fra (tra).
Può dipendere da vari elementi:
- da un sostantivo o un avverbio che indica una quantità: un chilo di arance; vorrei un po' di pace;
- da un pronome indefinito: alcuni di noi non verranno;
- da un pronome numerale: dieci tra i migliori studenti;
- da un aggettivo al grado superlativo relativo: il più bravo di tutti.
Alcune precisazioni:
- non si deve confondere il complemento partitivo con il soggetto o il complemento oggetto di una frase introdotti da un articolo partitivo: per fare la torta mi serve della farina (= soggetto); ho preparato degli spaghetti (=complemento oggetto, detto anche complemento oggetto partitivo). Per ripassare gli articoli partitivi: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2014/10/02/larticolo-indeterminativo-e-partitivo/;
- la particella ne può essere usata con funzione partitiva e non richiede nessun elemento introduttivo: ho comprato questo libro ieri e ne (= di esso) ho già lette cento pagine. In presenza della particella ne di solito il participio passato del verbo concorda nel genere e nel numero con la parte presa in considerazione: ho comprato dieci caramelle e ne ho mangiata una ( e ne ho mangiate due). Per ripassare ne: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2011/02/10/la-particella-ne/;
- la particella ne può rafforzare un complemento partitivo premesso al verbo: lui di amici, ne ha tanti; in questi casi nel parlato può accadere che la preposizione di venga omessa: (di) amici ne ha tanti. Per ripassare questo tipo di costruzione: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2015/05/07/la-frase-con-enfasi/;
- quando abbiamo un soggetto formato da un nome collettivo (un centinaio, la maggioranza, un gruppo, una percentuale ecc.) seguito da un complemento partitivo possiamo avere due tipi diversi di accordo: l'accordo grammaticale con il verbo al singolare che concorda con il soggetto della frase (la maggioranza delle persone vota) e l'accordo a senso con il verbo al plurale che si accorda con il complemento partitivo, che ha maggior peso semantico rispetto al nome collettivo (la maggioranza delle persone votano). Per ripassare questo fenomeno: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/05/03/problemi-di-accordo-concordanza-a-senso/.
[post_title] => I complementi indiretti: il complemento partitivo
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[post_content] => Care lettrici e cari lettori di
Intercultura blog, non è sempre facile scegliere tra
alcuno, qualcuno e
nessuno. Cos'hanno in comune e cosa no? Cerchiamo di fare chiarezza.
Buona lettura!
Prof. Anna
La prima differenza è nella funzione grammaticale:
- qualcuno ha solo la funzione di pronome;
- alcuno e nessuno sono sia pronomi sia aggettivi.
QUALCUNO
Il pronome indefinito
qualcuno si usa solo al singolare, la forma femminile è
qualcuna; si tronca sempre davanti a
altro (qualcun altro) e si elide davanti al femminile (qualcun'altra).
Indica un numero indeterminato ma generalmente ristretto di cose o persone, che può essere costituito anche da una sola unità:
c'è qualcuno alla porta;
qualcuno dice di sì, altri dicono di no; è spesso seguito da un complemento partitivo o da una proposizione relativa: ho visto qualcuno dei suoi quadri; se vuoi delle caramelle, ce ne deve essere qualcuna là dentro; ho visto qualcuno che ti somiglia; ne avrà combinata qualcuna delle sue (significa una delle sue solite marachelle, una delle sue solite bricconate).
In alcune espressioni ha funzione di sostantivo con il significato di
persona di una certa importanza, di un certo valore o autorità:
si crede qualcuno ora che è diventato ricco; spera un giorno di diventare qualcuno.
ALCUNO
Alcuno si tronca sempre in
alcun davanti a parole che cominciano per vocale (alcun amico), per
u semiconsonante (alcun uomo), per consonante semplice (alcun libro), per consonante muta seguita da una liquida (alcun treno); non sempre si tronca davanti a parole che cominciano per
i semiconsonante o ps
(alcuno psicologo o alcun psicologo), non si tronca mai di fronte a nomi comincianti per altri gruppi di consonanti o per
x e
z (alcuno scolaro; alcuno zaino).
Come aggettivo:
- al plurale indica una quantità indeterminata ma limitata di persone o cose: sono venuti alcuni amici; ho comprato alcuni libri; in questo caso ha lo stesso significato dell'aggettivo indeterminativo qualche con la differenza che qualche viene usato al singolare e alcuno al plurale: è venuto qualche amico; ho comprato qualche libro;
- al singolare significa nessuno in frasi e costruzioni negative: non c'è alcun dubbio = non c'è nessun dubbio; non ho nessun problema = non ho alcun problema; senza alcun dubbio; si può anche posporre al verbo: non c'è ragione alcuna.
Come pronome:
- al plurale: alcuni arrivano sempre tardi; spesso è seguito da una frase relativa o da un complemento indiretto introdotto da dei, degli, delle, in questi casi ha lo stesso significato di qualcuno con la differenza che è usato al plurale: alcuni di voi verranno con me = qualcuno di voi verrà con me; ci sono alcuni che desiderano parlare = c'è qualcuno che desidera parlare;
- al singolare significa nessuno in frasi e costruzioni negative e in un registro formale: non piace ad alcuno; non ci fu alcuno che protestasse.
NESSUNO
Come aggettivo femminile si elide davanti a parola che comincia per vocale (nessun'amica); come aggettivo maschile si tronca davanti a nomi che cominciano per vocale e per consonante che non sia
gn,
ps,
s impura,
x,
z (nessun amico; nessun problema; nessuno scrittore; nessuno zelo). Come pronome si tronca solo nell'uso letterario.
Come aggettivo:
- solo al singolare significa non uno, neppure uno, neanche uno con valore negativo: nessun uomo è più gentile di lui; quando è posposto al verbo richiede una negazione: non ho nessun dubbio; non voglio nessuna ricompensa;
- solo al singolare può avere la semplice funzione di rafforzare la negazione già espressa: non c'è nessuna fretta; non c'è nessun bisogno di urlare;
- anche al superlativo ha valore rafforzativo: non c'è nessunissima fretta; non cambierò idea per nessunissima ragione;
- solo al singolare può significare qualche, alcuno soprattutto in in proposizioni interrogative dirette e indirette o dubitative: hai nessun libro da prestarmi?; nessuna domanda?
Come pronome:
- solo al singolare col significato di non uno, neppure uno, neanche uno in riferimento sia a persone sia a cose: spero che nessuno si offenda; "Qualche domanda?" "Nessuna"; anche seguito da un complemento partitivo: nessuno di loro era presente; quando è posposto al verbo richiede una negazione: non è ancora arrivato nessuno;
- solo al singolare, con valore positivo, significa qualcuno, qualche persona, specialmente in proposizioni interrogative dirette e indirette: c'è nessuno in casa? non ha telefonato nessuno?
In funzione di sostantivo maschile e femminile invariabile, solo singolare, significa
persona di nessun valore,
che non conta nulla (il contrario di qualcuno in funzione di sostantivo):
si dà tante arie ma non è nessuno.
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Intercultura blog, proprio in questi giorni ha luogo il più importante e longevo festival musicale d'Italia (e non solo):
il Festival di Sanremo. Scopriamone insieme la storia.
Buona lettura!
Prof. Anna
Dall'1 al 5 di febbraio si tiene la settantaduesima edizione del Festival di Sanremo e gli italiani si dividono, come ogni anno, tra chi lo guarderà e chi non lo farà. Sia che lo sia segua sia che lo si ignori il Festival è un appuntamento fisso sul calendario invernale, un evento che catalizza l'attenzione dei media e della gente:
chi saranno i cantanti in gara? quali ospiti parteciperanno? chi vincerà? La sua storia accompagna la storia italiana, dal dopoguerra a oggi, diventando specchio della società e parte della cultura.
Ma quando comincia questa storia?
Comincia il 29 gennaio 1951, data in cui si tenne la prima edizione del Festival della canzone italiana con l'idea di incrementare il turismo nella cittadina ligure di Sanremo nel mese di febbraio. La televisione ancora non c’era, a trasmettere l’evento fu la radio; i cantanti in gara erano solo tre e si esibirono nel salone del casinò di Sanremo, il pubblico era scarso e l'evento non ebbe particolare risonanza. A vincere fu Nilla Pizzi con una canzone intitolata
Grazie dei Fiori. Già dall'anno successivo però la manifestazione trovò un maggiore riscontro da parte degli autori e degli editori musicali tanto da venire trasmessa, dal 1956, in diretta radio-televisiva. Due anni dopo fu una delle canzoni più celebri della musica italiana a vincere:
Nel blu dipinto di blu, nota anche come
Volare, interpretata da Domenico Modugno.
Negli anni '60, gli anni del
boom economico, fecero il loro esordio sul palco i cosiddetti urlatori, come Mina, Adriano Celentano, Little Tony che, con il loro nuovo modo di cantare e il loro stile scomposto e sguaiato, cambiarono le regole del cantare. L'edizione del 1967 fu segnata da un triste avvenimento: il
cantautore genovese Luigi Tenco si presentò con la canzone
Ciao amore ciao e dopo l'eliminazione si suicidò in una camera d’albergo di Sanremo. Il clima pesante degli anni '70, caratterizzati dalla fine del boom economico e dagli
anni di piombo, si riflette anche sulla
kermesse che risulta in questi anni un po' sottotono. Negli anni '80 e '90 il Festival si apre alla musica internazionale invitando ospiti stranieri; artisti come Vasco Rossi, Zucchero, Jovanotti portarono sul palco nuove sonorità e nuovi temi (ma furono penalizzati in classifica) insieme a cantanti emergenti come Laura Pausini (che vinse nel 1993), Andrea Bocelli, Giorgia (vincitrice nel 1995). Anche negli anni 2000 Sanremo continua a essere il palcoscenico dove lanciare o confermare nuovi artisti, per rimanere al passo con i tempi nel 2012 il Festival sbarca anche sui social: gli spettatori commentano live su Twitter e Facebook facendo registrare un gran numero di interazioni; il Festival rimane così una delle manifestazioni più seguite a livello nazionale.
Come funziona?
I brani in gara vengono selezionati nei mesi immediatamente precedenti da una commissione sulla base delle candidature pervenute. Questi brani, composti da autori italiani con testi in italiano o in una lingua regionale italiana, devono essere
inediti, pena la squalifica. Le canzoni vengono votate da giurie scelte e da un voto popolare, attraverso il
televoto, che proclamano e decretano i tre brani più votati tra quelli in gara nella sezione principale, denominata, a seconda delle edizioni,
Big,
Campioni o
Artisti in quella degli artisti meno noti, definita generalmente
Nuove proposte o
Giovani e infine durante la
finalissima, tra questi tre brani viene decretato il vincitore, che ottiene il diritto di rappresentare l'Italia all'Eurovision Song Contest. Adesso che sapete tutto (o quasi) buona visione!
Vediamo il significato di alcune parole ed espressioni significative:
- interpretare una canzone significa cantare una canzone; se il cantante, come spesso accade, esegue composizioni scritte da altri si dice che è un interprete, se invece esegue canzoni di cui ha egli stesso scritto i testi o le musiche è un cantautore;
- con l'espressione boom economico o miracolo economico italiano si intende lo sviluppo di cui l’Italia fu protagonista dalla fine del secondo conflitto mondiale negli anni che vanno all'incirca dal 1958 al 1968;
- con l'espressione anni di piombo si indica il decennio successivo al 1970, in cui si sviluppa e domina il terrorismo, soprattutto in Italia e in Germania;
- kermesse: questa parola significa originariamente "festa del patrono, nei paesi delle Fiandre e del Belgio", poi "sagra, festa popolare"; per estensione indica "importante manifestazione, spettacolo o evento dai toni spesso festosi e con larga partecipazione di pubblico";
- l'aggettivo inedito significa "che non è stato ancora pubblicato", in questo contesto significa che in brani in gara non devono mai essere stati eseguiti pubblicamente prima della competizione;
- il televoto è un "sistema di votazione a distanza tramite telefono, specialmente in occasione di gare, concorsi o simili";
- la finalissima è una "finale importante e molto attesa". Vi starete chiedendo com'è possibile che un sostantivo abbia il superlativo. Nel linguaggio pubblicitario e in quello dei giornali si possono avere superlativi che hanno come base un sostantivo: governissimo (governo sostenuto da una maggioranza parlamentare molto ampia); affarissimo (grosso affare); poltronissima (posto di prima fila in teatro); offertissima (uno sconto conveniente). Nel parlato e nello scritto informale troviamo superlativi formati a partire da altre categorie grammaticali, come participi, pronomi o avverbi: fidanzatissimi (fidanzati da molto tempo); prestissimo, nessunissimo.
Per approfondire:
https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/glossario/festival-di-sanremo-sono-solo-canzonette/
https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/glossario/sanremo-2021-la-musica-prende-parola/
https://www.rai.it/programmi/sanremo/
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Intercultura blog, in italiano ci sono
parole che derivano da opere letterarie, teatrali, film e personaggi cinematografici. Ve ne vengono in mente alcune? Vediamole insieme.
Buona lettura!
Alcune opere e alcuni personaggi sono così importanti e indimenticabili che hanno dato origine a parole di uso comune: sostantivi o aggettivi che ne racchiudono l’essenza e le caratteristiche sono entrate a far parte della lingua di tutti i giorni. Spesso, soprattutto per quanto riguarda i personaggi di opere teatrali, di romanzi o di film, si attribuisce il nome di un personaggio famoso a una persona che si ritiene abbia caratteristiche simili, questa è una figura retorica che si chiama antonomasia.
Vediamo insieme alcune di queste parole:
- amarcord ⇒ significa ricordo, rievocazione nostalgica di fatti, situazioni, luoghi appartenenti al passato: ci siamo rivisti dopo molto tempo e abbiamo fatto un lungo amarcord; deriva da un’espressione del diletto romagnolo che significa “io mi ricordo” ed è il titolo di un film di Fellini del 1973, probabilmente il più autobiografico della sua filmografia;
- anfitrione ⇒ padrone di casa generoso e ospitale: brindiamo al nostro anfitrione!; la parola deriva, per antonomasia, dal nome dell’ospite fastoso protagonista della commedia Amphitryon di Molière (1622-1673), che riprende una commedia di Plauto (254 circa- 184 a.C.), l’Anphitruo;
- azzeccagarbugli ⇒ significa avvocato di scarso prestigio professionale, che si presta a manovre scorrette, per estensione indica una persona intrigante; deriva, per antonomasia, dal nome di un personaggio dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, il vile avvocato che, accampando pretesti di ogni sorta, rifiuta la sua assistenza a Renzo (1849);
- carrambata ⇒ incontro inatteso con una o più persone con le quali si erano persi i contatti: che carrambata! Erano anni che non ci si vedeva; deriva dal nome del programma televisivo “Carràmba che sorpresa”, andato in onda nella seconda metà degli anni ‘90, condotto da Raffaella Carrà, in cui amici e parenti che non si vedevano da molto tempo venivano fatti incontrare di nuovo; il nome del programma gioca sull’unione fra il nome della presentatrice e l’esclamazione caramba, che esprime meraviglia;
- dongiovanni ⇒ intraprendente e galante corteggiatore di donne: essere un dongiovanni, fare il dongiovanni; deriva, per antonomasia, da Don Giovanni Tenorio, protagonista di una leggenda narrata in un’opera attribuita allo scrittore spagnolo Tirso de Molina (1584-1648) e, successivamente, di numerose altre opere letterarie e musicali, nelle quali impersona il tipo del seduttore libertino;
- fantozziano ⇒ questo aggettivo deriva da Fantozzi (il ragionier Fantozzi), il nome di un personaggio comico interpretato dall’attore P. Villaggio a partire dagli anni Settanta, significa pavido e servile: atteggiamento fantozziano; goffo, impacciato: aspetto fantozziano; grottesco, tragicomico: situazione fantozziana;
- galeotto ⇒ significa che (o chi) favorisce i rapporti specialmente amorosi tra due persone: canzone galeotta; Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse (Dante); deriva, per antonomasia, dal nome del principe Galeotto, in francese Galehault, personaggio di vari romanzi del ciclo bretone, amico e compagno di Lancillotto, del quale favorisce gli amori con Ginevra;
- gradasso ⇒ questo sostantivo indica chi si vanta eccessivamente delle proprie capacità o di qualità inesistenti; fare il gradasso: minacciare qualcuno ostentando un coraggio che non si ha; deriva dal nome di Gradasso, personaggio temerario e impulsivo dell’Orlando Innamorato di M. M. Boiardo e dell’Orlando Furioso di L. Ariosto;
- j’accuse ⇒ è una locuzione francese che significa io accuso, dal titolo della lettera aperta dello scrittore E. Zola al Presidente della Repubblica francese dell’epoca, in difesa dell’ufficiale A. Dreyfus, comparsa sul giornale L’Aurore nel 1898 e contenente violente accuse allo stato maggiore francese; in italiano significa denuncia, specialmente fatta pubblicamente, di un’ingiustizia, di un sopruso e sollecito invito a porvi rimedio; si usa con gli articoli il, un, i: lanciare un j’accuse contro la corruzione.
Per approfondire, vi consiglio questo articolo sulle parole che derivano delle opere di Federico Fellini:
https://dizionaripiu.zanichelli.it/cultura-e-attualita/glossario/federico-fellini-le-parole-per-raccontare-un-grande-maestro-del-cinema-italiano/#:~:text=Oggi%20si%20impiega%20in%20frasi%20come%20La%20serata,secondo%20il%20dizionario%2C%20%E2%80%9Cil%20protagonista%20talora%20lo%20indossava%E2%80%9D.
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Le frasi contenute nel prossimo esercizio sono dichiarative, soggettive o oggettive?
Scrivi dichiarativa, soggettiva, oggettiva di fianco a ogni periodo a seconda di quella che ti sembra corretta.
Prima di fare il test potete ripassare qui
La frase complessa: la proposizione dichiarativa (o attributiva) | Zanichelli Aula di lingue questo argomento.
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Il prossimo esercizio è sull'uso e le funzioni di allora; per un ripasso
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Scegli la funzione che ti sembra corretta.
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Intercultura blog, pronti per il consueto ripasso mensile?
Cominciamo con i numeri romani.
In bocca al lupo!
Prof. Anna
Nel prossimo esercizio si deve scrivere il numero romano corrispondente al numero arabo che viene proposto.
Per ripassare i numeri romani, potete leggere questo articolo:
https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2021/12/09/i-numeri-romani/
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Intercultura blog, ben ritrovati. Allora, come sono andare le feste natalizie? Oggi vedremo proprio quando e come si usa la parola
allora.
Buona lettura!
Prof. Anna
Osservate queste frasi:
- Allora, che fai stasera?;
- lo conobbi allora;
- se vuoi dimagrire, allora stai a dieta!;
- allora, stavi dicendo?
La parola
allora è usata frequentemente nella lingua comune e si trova spesso nel linguaggio colloquiale; notiamo, leggendo queste frasi, che ha vari significati e varie funzioni. Vediamole insieme.
Allora come avverbio
Allora quando ha funzione avverbiale significa:
⇒
in quel momento, in quell'attimo, in quell'istante: lui apparve, e allora gli corsi incontro;
⇒ in quel tempo in riferimento al passato o al futuro:
lo conobbi allora (passato)
; allora gli inverni erano più freddi (passato)
; quando avrai la mia età, allora capirai (futuro)
. Alcune locuzioni:
- da allora in poi, d'allora in poi: da quel momento in poi;
- fino allora, fino ad allora: fino a quel momento, fino a quel tempo: non ne avevo mai sentito parlare fino allora;
- fin d'allora: fin da quel tempo;
- per allora: per quei tempi, per quel momento: per allora era una donna molto emancipata;
- d'allora: di quei tempo: i giovani d'allora erano diversi da quelli di oggi.
L'avverbio allora ha assunto progressivamente nel tempo la funzione di sostantivo invariabile col significato di quel momento, quel tempo (in frasi come: le discussioni di allora, la mentalità di allora, i giovani di allora), funzione che esso aveva implicitamente già in antiche locuzioni come fin d'allora o d'allora in poi. Per questo motivo la forma fino ad allora, più recente, prevale sulla tradizionale fino allora.
Allora come congiunzione
Quando ha funzione di congiunzione significa:
- in questo caso, in tale caso, se è così, con valore conclusivo: se mi dici così, allora non vengo;
- ebbene, dunque, insomma usato per sollecitare qualcuno o per esprimere dubbio, curiosità, apprensione, speranza (introduce una proposizione interrogativa indiretta o diretta o un'espressione esclamativa, può essere preceduto dalle congiunzioni e o ma): allora, che fai stasera?; deciditi allora!; allora, ti vuoi muovere!; e allora, sei pronto?;
- nel linguaggio colloquiale si usa all'inizio di una frase, per cominciare o riprendere un discorso: allora, stavi dicendo?; "raccontami come è andata" "allora, stavamo tornando a casa quando...";
- nel linguaggio colloquiale si usa a inizio frase con il significato di precisiamo, mettiamo in chiaro che: allora: è vero che te l'avevo promesso, ma le cose sono cambiate.
Allora come aggettivo
Quando allora è un aggettivo è sempre preposto al sostantivo e significa
di quel tempo, dell'epoca:
l'allora direttore (il direttore di quel tempo).
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[post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, ben ritrovati. Allora, come sono andare le feste natalizie? Oggi vedremo proprio quando e come si usa la parola "allora".
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Intercultura blog, simili alle oggettive, ma non del tutto uguali,
le proposizioni dichiarative si distinguono per funzione e struttura. Vediamole insieme.
Buona lettura!
Prof. Anna
Nelle scorse settimane abbiamo parlato dell'attributo (
https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2021/10/07/lattributo/;
https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2021/10/14/la-posizione-dellattributo/) e dell'apposizione (
https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2021/11/11/lapposizione/), oggi prendiamo in esame un tipo di proposizione che ha una funzione simile all'attributo e all'apposizione.
Prendiamo come esempio queste frasi:
- 1- siamo venuti qui con una certezza, che qui potevamo rilassarci;
- 2- non accetto questo: che tu ti comporti in questo modo.
In entrambi questi esempi, la proposizione subordinata serve a completare la reggente chiarendo, illustrando, precisando il significato di un elemento che la compone (come l'attributo e l'apposizione): sia esso un nome,
certezza nell'esempio 1, oppure un pronome dimostrativo,
questo nell'esempio 2. A differenza delle oggettive o delle soggettive non sono espansioni del verbo, ma di un elemento nominale della principale.
Una proposizione si dice dichiarativa (o enunciativa, o attributiva, o appositiva)
quando completa il significato della reggente specificando i limiti di significato, che altrimenti sarebbe generico, di un nome o un pronome dimostrativo della reggente.
Le dichiarative possono essere implicite o esplicite.
Quando sono esplicite:
- sono introdotte da che, cioè che, e cioè che;
- il verbo, a seconda del significato generale, può essere al congiuntivo (per esprimere soggettività o potenzialità): speravo questo: che tu non partissi; l'indicativo (per la realtà): mi rende felice il pensiero che ti vedrò di nuovo; o il condizionale (per la eventualità-ipotetica): mi hanno fatto capire questo, cioè che sarebbe meglio andarci;
- graficamente il confine tra reggente e dichiarativa può essere segnato da una virgola, da un punto e virgola, dai due punti o, meno frequentemente, anche da un punto fermo.
Quando sono implicite hanno il verbo all'infinito preceduto o non preceduto dalla preposizione
di:
ha il pregio di non arrabbiarsi mai; non accetto una tale accusa: avere agito in maniera disonesta.
Cosa distingue una dichiarativa da una soggettiva o da un'oggettiva? Le soggettive e le oggettive forniscono alla reggente un contributo indispensabile per completare il significato e la struttura sintattica; il contributo delle dichiarative invece è indispensabile solo al completamento del significato, perché per quanto riguarda l'aspetto sintattico la proposizione reggente è già completa di per sé.
[post_title] => La frase complessa: la proposizione dichiarativa (o attributiva)
[post_excerpt] => Care lettrici e cari lettori di Intercultura blog, simili alle oggettive, ma non del tutto uguali, le proposizioni dichiarative si distinguono per funzione e struttura. Vediamole insieme.
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Intercultura blog, come e quando si usano i numeri romani? Vediamolo insieme.
Buona lettura!
Prof. Anna
COSA SONO I NUMERI ROMANI?
Il sistema di numerazione romano è composto da alcune lettere dell'alfabeto che corrispondono a numeri; questi simboli combinati tra di loro danno luogo ad altri numeri.
Vediamo i simboli fondamentali, dai quali si possono ricavare tutti gli altri numeri:
- I = 1 (uno)
- V = 5 (cinque)
- X = 10 (dieci)
- L = 50 (cinquanta)
- C = 100 (cento)
- D = 500 (cinquecento)
- M = 1000 (mille)
COME SI COMPONGONO I NUMERI ROMANI?
Per comporre i numeri si usano l'addizione e la sottrazione:
→
i segni posti a destra dei maggiori si sommano, ad esempio:
- VI è composto da V (5) e I (1) quindi 5+1 = 6;
- LXIII è composto da L (50) + X (10) + III (3) = 63;
→
i segni posti a sinistra dei maggiori si sottraggono, ad esempio:
- IV è composto da I (1) e V (5) quindi 5 – 1 = 4;
- VXC è composto da V (5), da X (10) e da C (100), i numeri minori si sottraggono al maggiore, quindi: 100 − 10 − 5 = 85;
- XCIV è composto da C – X (cento – dieci) + V – I (cinque – uno), ovvero 90 + 4 = 94.
QUANDO SI USANO?
I numeri romani si usano sempre per indicare aggettivi numerali ordinali (→
https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2011/01/13/i-numerali/) nei seguenti casi:
- per la numerazione dei secoli, il numero può essere collocato sia prima, sia dopo il nome: il XX secolo; il secolo V (il nome dei secoli → https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2021/01/28/il-nome-dei-secoli/);
- per distinguere in ordine di successione sovrani e pontefici: la regina Elisabetta II; Papa Pio IX;
- per le indicazioni bibliografiche, per indicare: i singoli volumi, i tomi, i capitoli, i paragrafi, le annate delle riviste, i numeri di pagina: studiate il capitolo V del libro; ho letto solo il volume I. Per l’ultima voce è lasciata discrezionalità di scelta tra numeri arabi e romani.
- per indicare le classi di un corso di studi: frequenta la II B;
- poiché esprimono numerali ordinali, i numeri romani non hanno bisogno di essere accompagnati dalla letterina in esponente come i numeri arabi, tuttavia, nell’uso comune, si possono incontrare numeri romani seguiti dall’esponente.
QUANDO NON SI USANO
- per indicare lo zero: I Romani non avevano un simbolo per designare lo zero, poiché non possedevano il concetto di zero come numero;
- per rappresentare i decimali e le frazioni;
- per fare qualsiasi tipo di operazione aritmetica, ciò è una conseguenza proprio dalla loro struttura, che è inadeguata al calcolo; per sommare o per sottrarre tra loro le quantità numeriche usava uno strumento chiamato abaco.
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Intercultura blog, vediamo insieme
cosa esprime e come si forma il complemento partitivo.
Buona lettura!
Prof. Anna
Alcuni di voi forse lo conoscono già e anche
quelli tra voi che non lo conoscono lo avranno sicuramente già incontrato perché è un complemento molto comune e molto utilizzato. Vediamo questi esempi:
- delle mie amiche solo due sono sposate;
- Lucia è la più giovane tra le sue sorelle;
- un bicchiere di vino, per favore.
Il complemento partitivo specifica un tutto (nelle frasi precedenti:
delle mie amiche; tra le sue sorelle; di vino)
di cui si indica una parte (nelle frasi precedenti:
due; Lucia; un bicchiere). È introdotto per lo più dalla preposizione
di e non di rado anche da
fra (tra).
Può dipendere da vari elementi:
- da un sostantivo o un avverbio che indica una quantità: un chilo di arance; vorrei un po' di pace;
- da un pronome indefinito: alcuni di noi non verranno;
- da un pronome numerale: dieci tra i migliori studenti;
- da un aggettivo al grado superlativo relativo: il più bravo di tutti.
Alcune precisazioni:
- non si deve confondere il complemento partitivo con il soggetto o il complemento oggetto di una frase introdotti da un articolo partitivo: per fare la torta mi serve della farina (= soggetto); ho preparato degli spaghetti (=complemento oggetto, detto anche complemento oggetto partitivo). Per ripassare gli articoli partitivi: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2014/10/02/larticolo-indeterminativo-e-partitivo/;
- la particella ne può essere usata con funzione partitiva e non richiede nessun elemento introduttivo: ho comprato questo libro ieri e ne (= di esso) ho già lette cento pagine. In presenza della particella ne di solito il participio passato del verbo concorda nel genere e nel numero con la parte presa in considerazione: ho comprato dieci caramelle e ne ho mangiata una ( e ne ho mangiate due). Per ripassare ne: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2011/02/10/la-particella-ne/;
- la particella ne può rafforzare un complemento partitivo premesso al verbo: lui di amici, ne ha tanti; in questi casi nel parlato può accadere che la preposizione di venga omessa: (di) amici ne ha tanti. Per ripassare questo tipo di costruzione: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2015/05/07/la-frase-con-enfasi/;
- quando abbiamo un soggetto formato da un nome collettivo (un centinaio, la maggioranza, un gruppo, una percentuale ecc.) seguito da un complemento partitivo possiamo avere due tipi diversi di accordo: l'accordo grammaticale con il verbo al singolare che concorda con il soggetto della frase (la maggioranza delle persone vota) e l'accordo a senso con il verbo al plurale che si accorda con il complemento partitivo, che ha maggior peso semantico rispetto al nome collettivo (la maggioranza delle persone votano). Per ripassare questo fenomeno: https://int-aulalingue.scuola.zanichelli.it/benvenuti/2018/05/03/problemi-di-accordo-concordanza-a-senso/.
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